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CENNI STORICI

Le sue origini si perdono nei secoli, forse nei millenni, probabilmente doveva essere un villaggio fortificato già al tempo degli Enotri. “Furono gli Enotri i primi abitanti di Novi. Essi provenivano dall’Arcadia, regione a sud della Grecia nel Peloponneso centrale prevalentemente montuosa con altipiani calcarei interrotti da voragini, vallate e depressioni più umide, con declivi ricoperti di foreste e di pascoli. (per altri studiosi  gli Enotri era il nome dei primitivi abitanti  dell’Italia meridionale). E’ l’unica regione della Grecia che abbia conservato la sua primitiva popolazione pelasgica formata da montanari e pastori dai costumi rudi e patriarcali. Popolazione originaria del Peloponneso, si era stanziata fin dal 1000 a. C. nella Calabria settentrionale, nella Basilicata sud – occidentale e nell’attuale area cilentana. A testimonianza di ciò ci restano dei ritrovamenti effettuati nel 1960 di una statuetta fittile “Tanagra”, di un serpentello di bronzo e di alcuni cocci di lampade votive, (1) che si pensano essere provenienti da un santuario dedicato alla dea Era. E’ infatti, lecito supporre che sulla cima del monte, o nelle vicinanze, sia sorto un tempio dedicato a questa dea. Solo intorno al IV sec. a. C., Novi, da villaggio fortificato, divenne fortezza della “Kora Velina”(2).  C’è un interessante saggio di Aniello Botti David L. Thurmond Fernando La Greca che nel descrivere il ritrovamento di PALMENTI (3) nel Cilento, il loro utilizzo e la loro datazione, ipotizzano la presenza di abitanti a Novi e nel Cilento almeno al 1000 a. c.  Qui di seguito riproduciamo un ampio stralcio liberamente tratto dal Saggio, che verrà riprodotto in parte nella sezione “Novi Velia nel tempo –  Monumenti e Luoghi di interesse”. -“Si riteneva, qualche decennio fa che fossero stati i Greci a portare la coltura della vite in Italia. Ma le recenti indagini archeobotaniche datano questa presenza in Italia già nel secondo millennio; del resto, a leggere attentamente L’Odissea di Omero, già Polifemo, e con lui le popolazioni indigene dell’Italia e della Sicilia, prima dei coloni greci, producevano vino a partire da viti selvatiche. E qui sta uno degli aspetti affascinanti dello studio dei palmenti: l’uso continuato fin quasi ai nostri giorni di questi manufatti in pietra contrasta con il mistero delle origini. Coloro che ne vengono a conoscenza restano tutti meravigliati. Solo ulteriori e approfonditi studi interdisciplinari potranno chiarire l’aura di “mistero” che circonda tuttora i palmenti: quando sono stati costruiti, e quali popolazioni o classi sociali li utilizzavano?  In base alla loro funzionalità primitiva rispetto ad altre installazioni, è stata proposta una datazione in epoca preistorica o comunque precedente all’arrivo dei coloni greci. I palmenti scavati nella roccia, a doppia vasca, erano già utilizzati nel secondo millennio a.C. nel Medio Oriente; l’uso di una pressa primitiva nella prima vasca, con nicchia di alloggio, è già attestato all’inizio del I millennio. Una considerazione si impone su tutte le altre: nel mondo greco-romano, chi produceva il vino in quantità destinate alla vendita, ovvero con una produzione a livello “industriale” per il mercato, non usava certo palmenti rupestri, ma grandi palmenti in muratura racchiusi in appositi edifici, nei quali era presente anche il torchio, e grossi vasi per la fermentazione e la conservazione. I palmenti in muratura erano molto più semplici da costruire, nelle dimensioni volute, per grandi quantità di prodotto. Nel complesso l’incertezza dei dati cronologici sui palmenti di pietra sembra comunque condurre ad un’ipotesi che via via si consolida, compatibile in tutti i casi esaminati: si tratterebbe di reperti antichissimi, arcaici, di forme e capienze diverse, a volte rudimentali e non pienamente funzionali al loro scopo. Anche la presunta lavorazione “a coppelle” visibile sul palmento di Novi Velia, se l’ipotesi è giusta, rimanderebbe ad epoche antiche, protostoriche. Come pure l’usura della parte interna delle vasche, presente in genere in molti palmenti, dovuta agli agenti atmosferici, ma operante su tempi di secoli se non di millenni. Chi sono allora questi antichi vinificatori che costruiscono ed utilizzano i palmenti rupestri? Potrebbero essere popolazioni di tipo appenninico o protovillanoviano, come tante dell’Italia del secondo e primo millennio a.C., in epoca protostorica. Vinaccioli trovati in contesti preistorici e protostorici dell’Italia

centromeridionale sembrano provare la coltivazione della vite fin dall’epoca neolitica. Queste popolazioni, da lungo tempo a contatto con i Greci, prima con i Micenei e poi con i coloni delle prime fondazioni magnogreche, vennero indicate con il nome di “Enotri”, Òinotroi, con il significato approssimato di “popolo della vite” o “del vino”, dal tema mediterraneo *woina, *woino-, “vite, vino”. Enotri sono, così, i primitivi abitanti dell’Italia meridionale, detta anche Enotria. Enotri sono anche gli antichi abitatori della Lucania, come attestano vari scrittori, in particolare Erodoto, che segnala la presenza degli Enotri nel sito della futura Elea-Velia nel Cilento, e Strabone, che pone di fronte a Velia le “Isole Enotridi”. Inoltre, se questa ipotesi sugli “Enotri” quali costruttori dei palmenti rupestri è nel giusto, ci troveremmo di fronte a concrete, importanti ed uniche testimonianze della cultura di queste antiche popolazioni italiche, caratterizzate in qualche modo dalla cultura del vino, attraverso degli straordinari manufatti litici che hanno sfidato il tempo giungendo fino a noi, e che è nostro dovere preservare e valorizzare”.- (4)

Ad ogni modo la prima notizia documentata dell’esistenza di Novi, si trova in un diploma del 1005 con cui il principe di Salerno Guaimario IV fa dono dei suoi possedimenti a Luca, abate del monastero di Santa Barbara, sito in territorio “de Nobe”.

Il primo agglomerato di abitazioni si è formato quindi da VI secolo avanti Cristo. Novi (nel Medioevo Noves o Nobes e Noe) si formò in epoca bizantina sui resti di un’antica fortezza enotria che era stata rafforzata dai greci di Velia per il controllo della chora velina. Fu sede del feudo normanno detto “di Novi. Nel XIII secolo era feudo della famiglia Della Magna (o de Alemagnia), di chiare origini germaniche: Gisulfo della Magna fu giustiziere della Terra di Lavoro ai tempi di Federico II, nel 1242. Novi divenne poi capoluogo dello “Stato di Novi”, comprendente 13 casali. (Novi, Angellara, Cannalonga, Ceraso, Cornito, Grasso, Massa, MassascusaPattano SopranoPattano SottanoSan BiaseSanta Barbara e Spio); per lungo tempo i baroni di Novi ebbero importanti ruoli e incarichi nella corte del Regno di Napoli: tra questi Tommaso Marzano (grande ammiraglio del Regno); Antonello Petrucci (primo ministro di re Ferrante d’Aragona); Ettore Pignatelli duca di Monteleone di Calabria (presidente del Regno di Sicilia, ai tempi dell’imperatore Carlo V).  La partecipazione diretta dei baroni di Novi alle vicende del Regno di Napoli comportò la disattenzione per la cittadina e per i suoi abitanti, con conseguente abbandono dei luoghi, spopolamento e carestie. Nonostante questo, tra il Seicento e il Settecento diversi vescovi di Capaccio e di Vallo elessero Novi a sede vescovile: di alcuni si conservano le sepolture nella chiesa parrocchiale di Santa Maria dei Lombardi. Nel 1614 lo Stato di Novi fu venduto a Giacomo Zattara, di famiglia di origine genovese. Nel 1759 gli Zattara costruirono il palazzo baronale e si stabilirono in Novi, mantenendo la residenza anche dopo la legge eversiva della feudalità Dal 1811 al 1860 ha fatto parte del circondario di Vallo, appartenente all’omonimo distretto del Regno delle Due Sicilie. Dal 1860, in seguito all’unificazione dell’Italia, l’insediamento assunse il nome di Novi Velia, per il fatto che si ritiene che l’attuale città corrisponda ad un nuovo insediamento (una “nuova Elea”, appunto), fondato dai Velini. Dal 1860 al 1927, durante il Regno d’Italia ha fatto parte del mandamento di Vallo della Lucania, appartenente all’omonimo circondario. Dal 1928 al 1946 il comune è stato soppresso per aggregazione con Vallo della Lucania. Nel 1946 ridiventò comune autonomo. (in aggiornamento)

1 Ci siamo sempre chiesti dove sono custoditi questi reperti.

2 Breve storia popolare di Novi Velia. Don Carlo Zennaro 19..

3 Grande vasca di pietra o di altri manufatti per la pigiatura dell’uva.

4 Un Palmento ben conservato a Novi Velia ed altri Palmenti nel territorio cilentano di Aniello Botti David L. Thurmond Fernando La Greca in Annali Storici di Principato Citra IX, 2, 2011, pp. 5-52.

“…Credete che stia vaneggiando? No, signori. Ne ho le prove, Possiedo alcune foto di reperti venuti alla luce nel maggio 1960 quando sulla vetta del Gelbison si fecero degli scavi per piazzarvi i tralicci di sostegno ai ripetitori del telefono. Si tratta di una tanagra e di un sepentello di brozo, oltre ad alcuni cocci…” -Breve Storia popolare di NV- 1960-2023 sono 63 anni, non credo li abbia visti nessuno. Esistono ancora? chi li detiene? a che titolo? perchè non vengono esposti in sicurezza?